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Il Jukebox

Anche il jukebox, concepito come “distributore” a pagamento di musica, ha origini legate all’utilizzo pubblico del fonografo. Considerata la grande futuristica novità realizzabile dall’incisione sonora, mancava ancora un mercato al quale vendere questo apparecchio. Subito dopo le prime manifestazioni pubbliche durante le quali il fonografo dava dimostrazioni delle sue potenzialità, si pensò di rendere questo intrattenimento lucrativo  oltre che divulgativo. Apparvero quindi le prime macchine parlanti a gettone (coin-up). Tra i primi imprenditori operanti nel settore del suono inciso decisi a realizzare questo juke-box ante litteram, Louis Glass, manager della Pacific Edison Phonograph Company è stato quello di maggiore successo. Installò ad esempio una macchina fonografica con quattro meccanismi azionabili a moneta e altrettante cuffie per l’ascolto, nel Palais Royal Saloon di San Francisco il 23 Novembre del 1889; l’apparecchio fu capace di incassare 1000$ in meno di sei mesi. Grazie a questo ed altri exploit dei fonografi “pubblici”, questi iniziarono ad apparire nelle stazioni ferroviarie, nei parchi di divertimento, nei centri commerciali, in alberghi, ristoranti e così via, ad opera di altre aziende che col tempo diventeranno brand tra i più potenti e conosciuti nel mondo dei juke-box: AMI, Seeburg, Wurlitzer e Rock-Ola.

 

Prima di poter vedere il juke-box come lo conosciamo oggi, furono però necessari diversi  sviluppi tecnologici legati all’incisione sonora tra cui: l’amplificatore elettronico a valvole, realizzato nei Bell Labs nel 1916 e del primo “altoparlante” sistemi capaci di sonorizzare ambienti grandi e affollati; 78 giri stampanti partendo da registrazioni elettriche che iniziarono a sostituire i dischi acustici intorno al 1925/26; design del fonografo a moneta migliorato e meccanismo sviluppato grazie ai quali il fonografo coin-up poteva offrire un numero sempre maggiore di brani (selezione automatica di dischi) e poteva offrire metodi di pagamento più sofisticati (gettoniera meccanica capace di “memorizzare” il numero di brani pagati). Fu solo nel 1937 che i fonografi a gettone iniziarono ad essere chiamati jukebox nome che probabilmente ebbe origine dall’espressione juke joint ovvero luoghi in cui gli schiavi africani si recavano per divertirsi e ballare dopo il duro  lavoro nei campi. Nonostante alcune battute di arresto, negli anni ’20 a seguito dell’arrivo dell’intrattenimento “gratuito” offerto dalla radio e a causa dei danni economici portati dalla grande depressione, e dal 1942 al 1946 anni della seconda guerra mondiale che costrinse a riversare risorse e manodopera nello sforzo belllico, il jukebox ebbe una costante crescita sia in termini di diffusione sia in termini di popolarità. Parallelamente a questa anche il suo aspetto divenne sempre più sofisticato e accattivante; dagli anni ’30 in poi il jukebox ha smesso di essere una scatola di legno buia e poco attraente, montando parti fuse in metallo, parti in plastica, tubi luminosi scritte e loghi colorati e ben visibili. Il modello che più esibiva queste caratteristiche divenuto forse il più iconico di tutti i tempi, prodotto e distribuito del 1946 dalla Rudolph Wurlitzer Company, fu il Wurlitzer 1015 alias Bubbler che divenne presto fonte di ispirazione per il design di tutti gli altri brand di jukebox.

 

Il museo del disco possiede un bellissimo Wurlitzer modello 500 del 1938 dotato di gettoniera originale americana amplificato a valvole è capace di suonare 24 dischi a 78 giri, perfettamente conservato e funzonante. L’intrattenimento musicale a gettone ebbe modo negli anni di assumere tante forme diverse; tra queste il Museo del Disco ne possiede una decisamente bizzarra e simpatica. Si tratta di un box musicale che ospita una coppia di marionette musiciste che si mettono all’opera, suonando mambo e cha cha cha, non appena ricevono un soldo.